Absolutely nothing: il sentimento di sparizione nei deserti americani

Casa mia la riconosci subito. Attraversi la porta e vedi gli Stati Uniti d'America, una sagoma formata da targhe sovrapposte che si alternano per colore e dimensione. Il mappamondo bianco è sullo scaffale più in basso. Sulla destra, invece, il planisfero occupa un'intera parete, se ti avvicini con le dita puoi sentire il profilo di legno degli oceani. Casa mia è piena di mappe e cartine, tracce che suggeriscono possibilità infinite; occasioni che nascono dai luoghi ma che poi diventano sempre qualcos'altro. Viaggiare è predisporre la mente alla ricerca, alla scoperta.

http://www.ramakfazel.com/

Absolutely nothing, storie e sparizioni dei deserti americani è un reportage narrativo scritto da Giorgio Vasta e illustrato dalle fotografie di Ramak Fazel. I due, insieme all'editrice Giovanna Silva, hanno inseguito il deserto da Los Angeles a Houston, passando per l'Arizona, il Texas, il New Mexico e la Louisiana. Il viaggio è una condizione così soggettiva che spesso è difficile entrare nei racconti degli altri. Ma questo libro suggeriva un argomento che m'incuriosiva: se viaggiare è soprattutto un cambiamento di stato, a che fase corrisponde la sparizione?
Ad affascinarmi, prima di tutto, è la perentorietà dell'avverbio, il piglio radicale di un termine che da solo vuole polverizzare ogni dubbio nonché l'eventuale residua speranza che qualcosa, lungo quelle ventidue miglia, sia ancora percepibile. E poi c'è il nothing – elementare, disadorno –, un enigma epistemologico che mi spinge a a domandarmi cosa comprende e dunque a cosa si opponga.
Assecondando il pensiero che viaggiare alteri la percezione del tempo, la successione dei capitoli non segue un ordine cronologico. Vasta ripensa a quei giorni come «una manciata di sferette bianche che rovesciate da un contenitore si allontanano rimbalzando in ogni direzione»; dal 1 ottobre 2013, la data della partenza, i ricordi si ricompongono senza una logica apparente. Se all'inizio questa scelta può essere destabilizzante, dopo qualche pagina mi è sembrata l'unica ricostruzione possibile. Come il tempo, anche lo spazio segue dinamiche diverse durante il viaggio; il movimento attenua i confini tra gli oggetti, la consistenza dei corpi trova una nuova sensibilità. Ma nel deserto lo spazio raggiunge una dimensione nuova: tutto è pieno, tutto è vuoto. In quel limbo di in-esistenza, le cose semplicemente stanno. Non si sa bene da quanto, forse da sempre. Ecco perché a Sud della California i fossili del Salton Sea sembrano venire dalla preistoria anche se il lago è nato per sbaglio, e soltanto nel ventesimo secolo. Per sbaglio continua a esistere, come testimonianza di un disastro ambientale di cui nessuno sembra sentire una vera responsabilità. Eppure Vasta ne parla come di uno spettacolo. Non mi è troppo difficile immaginare che abbia ragione, che quell'incidente assurdo emani una sorta di «malinconia costitutiva e inalterabile». Il deserto si occupa delle cose: le circonda, le protegge, le assorbe. E poi le fa sparire.

Il deserto si occupa delle persone. Le poche famiglie che ci sono, resistono appena il tempo che ci vuole a morire. Non si oppongono, sanno che vivere da un'altra parte non avrebbe senso, e allora si aggrappano al passato come se temessero di perdere con le proprie origini anche un po' di se stessi. I superstiti di Slab City, gli alieni di Roswell, i cowboy di Calico, un certo tipo d'America coltiva l'illusione che dalla rivisitazione del mito possa sorgere una specie di presente. La storia è la messinscena, come la lotta che Jimmy e l'alligatore Stella interpretano ogni giorno per regalare ai turisti il selvaggio Mississippi dei romanzi. Non proprio una menzogna ma qualcosa che ha a che fare col rispecchiarsi nell'idea che gli altri hanno di te. La verità del deserto è una bugia a fin di bene.

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A proposito di bugie. Vasta ci racconta di essere ossessionato dal pensiero che una famiglia antropofaga (una madre, un padre, due bambini e un vecchio) li stia seguendo per tutto il viaggio. Al di là del lato comico, la famiglia che si nasconde tra gli alberi in attesa di una distrazione di cui approfittare è un indizio importante perché ci rivela il sotto testo del libro. Il cannibalismo è una pratica che risveglia istinti primordiali e selvatici; simbolicamente esprime un bisogno di fusione, d'integrazione. Ora, la differenza è tutta tra chi mangia e chi verrà mangiato. Il sognatore che sogna di essere mangiato sente che una parte di sé verrà assorbita, da qualcosa o da qualcuno.
I processi di sparizione hanno moventi e meccanismi molteplici, (...) l'abbandono è un estinguersi lento e provocatorio, un denudamento eterno, una dissolvenza cinematografica che si dilata attraverso fotogrammi fino a sovrapporsi all'intero film.
Lo stile di Vasta si poggia su un linguaggio complesso, non così immediato, che ho imparato ad apprezzare col tempo. Quegli aggettivi, due, tre, quattro per frase, sono diventati un intralcio necessario, li immaginavo come gli ultimi sedimenti di una lingua abbandonata. Parole come sterpi, rocce, cactus, cartelli che modulavano il mio passo. Ho cominciato a pensare che questo viaggio si potesse scrivere soltanto così. Avrebbe potuto esasperare meno le caratteristiche dei personaggi; lo scrittore pensieroso e taciturno, la saggia editrice, il fotografo intrepido e un po' distratto sono qualcosa che già mi aspettavo. Ma è difficile trovare un equilibrio tra gli elementi perché il racconto di un'esperienza vissuta diventa subito un'avventura. Lo diceva anche Sartre.

Ogni racconto nasce da una commistione di realtà e finzione, ma il messaggio è sempre vero e spesso giunge come una rivelazione. In questo caso è un sentimento, un «legame tra desiderio, solitudine e tenacia». Prima un presentimento e poi una consapevolezza: nel deserto non si può stare che così, esistendo senza esistere, senza nulla a pretendere, senza dover per forza dare e darsi una spiegazione. Anche sparire fa parte del processo. The dust has come to stay. Tutto questo è attraente in modo spaventoso. Perché? Che cos'è l'absolutely nothing?

Assolutamente niente. Assolutamente nessuno.

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Absolutely nothing. Storie e sparizioni nei deserti americani. Vasta, Fazel. Quodlibet, 2016.

Commenti

  1. Mi hai definitivamente convinta (come avessi bisogno di ulteriori spinte) che questo è proprio un libro che vorrei leggere. Anche se poi in realtà è tutta la collana Humboldt che attira la mia attenzione (mi piacciono i reportage di viaggi, soprattutto quando non sono "solo" reportage.
    Mi piacerebbe sapere però cosa ne pensi del rapporto tra parola e immagine, visto che mi sembra una parte importante del libro. Non ho ancora avuto il piacere di sfogliarlo dal vivo, quindi non ho visto le fotografie su carta; e questo mi rende doppiamente curiosa.

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    1. Non ho letto molti reportage, infatti voglio approfondire, e non sono così esperta di fotografia. Ti dirò: alcuni scatti mi sono piaciuti più di altri (che sono quelli che ho postato nell'articolo). Li ho trovati aderenti al racconto, significativi. Altri mi sono piaciuti meno. In generale non credo di essere entrata in sintonia con lo sguardo del fotografo, trovo che alcune immagini siano più vivide nel racconto di Vasta. E poi avrei preferito fossero a tutta pagina, per apprezzarne meglio i dettagli.

      Prova a dare un'occhiata, mi piacerebbe confrontarmi su questo punto.

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