Se è così, se leggere correttamente un libro evoca le qualità più fini dell'immaginazione, dell'intuizione e del giudizio, si può forse concludere che la letteratura è un'arte molto complessa ed è poco probabile che saremo in grado, anche dopo una vita di letture, di dare qualche contributo di valore alla critica. Dobbiamo rimanere lettori. Non ci approprieremo della gloria ulteriore che appartiene a quei rari esseri che sono anche critici. Ma come lettori abbiamo lo stesso le nostre responsabilità, e anche la nostra importanza. I modelli che ergiamo e i giudizi che formuliamo s'intrufolano nell'aria e diventano parte dell'atmosfera che gli scrittori respirano mentre lavorano. Si crea un'influenza che agisce su di loro anche se non arriva mai alle stampe. E, se ben istruita, vigorosa, originale e sincera, potrebbe diventare molto importante ora che la critica è per forza di cose incerta.
Ora che i libri passano in rassegna come una processione di animali al poligono di tiro, e il critico ha solo un secondo per caricare, puntare e sparare, può essere ben giustificato se prende conigli per tigri, aquile per galline, o li manca proprio e spreca il colpo su una mucca che pascola pacifica in un campo lontano.
Se dietro gli spari casuali della stampa l'autore sentisse che c'è un altro tipo di critica, l'opinione di persone che leggono per amore di leggere, con calma e non per professione, e giudicano con grande simpatia, ma anche con grande severità, non potrebbe per questo migliorare la qualità del suo lavoro? E se grazie a noi i libri diventassero più forti, più ricchi e più vari, allora sarebbe un fine che varrebbe la pena perseguire. Ma chi legge per raggiungere un fine, ancorché auspicabile? Non ci sono ricerche che facciamo perché buone in sé e piaceri che sono definitivi? E questo non è tra quelli?
Ho sognato talvolta che all'alba del Giorno del Giudizio, quando i grandi conquistatori e uomini di legge e di Stato torneranno per ricevere la loro ricompensa - corone, allori, nomi indelebili scolpiti sul marmo imperituro -, l'Onnipotente si rivolgerà a Pietro e dirà, non senza una punta d'invidia, vedendoci arrivare con i nostri libri sottobraccio: "Vedi, questi non hanno bisogno di ricompense. Non abbiamo niente da dare loro. Amavano leggere".
(da Consigli a un aspirante scrittore di Virginia Woolf. Rizzoli, 2012. Traduzione di Bianca Tarozzi)
Splendida riflessione... penso che fare il critico, letterario o di altro genere, sia un lavoro molto difficile. Come si può, nell'oceano sempre crescente della letteratura, essere sicuri di aver trovato una perla? E, d'altra parte, come si può invece rigettare qualcosa senza il timore di commettere un errore?
RispondiEliminaLa strada del semplice lettore sembrerebbe più facile e senza responsabilità, ma Virginia Woolf ci ricorda che non è così. E' per noi che gli scrittori plasmano le proprie opere, ed i critici le proprie recensioni, e siamo noi che ne determiniamo, in definitiva, il successo. Perché raggiungere le menti ed i cuori, e lasciare una traccia che venga poi passata ad altri in un ciclo di inchiostro, voci e parole, questo è secondo me il vero successo di uno scrittore.
Hai reso perfettamente il senso dello che io volevo trasmettere condividendo questo passaggio. Non ho nient'altro da aggiungere!
EliminaCondivido pienamente questa riflessione e il commento di Clara: l'operazione critica non solo è difficilissima, ma è soggetta ad abbagli continui, che non riguardano solo la letteratura contemporanea, ma hanno coinvolto anche i grandi autori del passato. Questo post arriva giusto in coda alla mia lettura di Se una notte d'inverno un viaggiatore, che è preceduto da un intervento dell'autore che confuta la lettura critica del suo stesso romanzo, con cui è in buona parte in disaccordo (soprattutto a livello terminologico). Troppo spesso, anche nella proposta scolastica della lettura, si fanno precedere i commenti e i contenuti critici al testo, un'inversione a dir poco contro natura!
RispondiEliminaIl problema è che spesso ci si dimentica di quanto possano essere ingombranti alcuni giudizi. Dal più grande critico, passando per i blogger, fino ad arrivare al più piccolo lettore: tutti dovrebbero tenere a mente quanta responsabilità ci sia nel giudicare, proporre o stroncare un libro.
EliminaDevo riscoprire Virginia Woolf. Non so perché all'Università non facciano scoprire questo suo lato così "nostro".
RispondiEliminaCosa si può aggiungere alle sue riflessioni?
Personalmente, taccio e condivido. :-)
E' un po' il volersi ribellare da ogni imposizione passata; tutto ciò che ci è stato scolasticamente consigliato è, per definizione, "noioso e pesante". Perché forse si è anche più estremisti a quell'età. Poi si cresce e si impara anche a concedere qualche possibilità in più (io, per dire, sono in piena fase "possibilistica", vedi Camus tanto per citarne uno. Questo è il mio periodo Woolf!).
EliminaGià il titolo del tuo post dice tutto.
RispondiEliminaHa condiviso un pensiero davvero importante.
Abbandonare il ruolo di lettore per fare un salto di "carriera" e diventare critici è semplicemente una velleità bella e buona.
Lo scrittore quando scrive, scrive per i suoi lettori perché vuole farli emozionare, divertire, piangere, sussultare, spaventare o ammaliare. Le critiche sono solo un aspetto tecnico della lettura ed è l'ultima cosa che un lettore fa, a volte anche a malincuore, ma sempre a vantaggio dello scrittore e non per puro spirito critico.
I lettori imparano dallo scrittore e lo scrittore impara dai lettori.
(Secondo me...) Questo è tutto, gente.
Nient'altro da dichiarare!
EliminaGrandissimi Virginia, una scrittrice che apprezzo più per i suoi saggi che per i suoi romanzi (sebbene Clarissa Dalloway sia sempre nel mio cuore). E anche qui lei ci aveva visto giusto. Illuminante.
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