I racconti di Flannery O’Connor nascono innocenti. Sono scene di vita quotidiana ambientate per lo più in paesaggi di campagna. La maggior parte dei protagonisti ricalca profili mediocri, persone fiere delle loro virtù, caratterizzate da una componente razzista mitigata dalla presunta morale cristiana.
In uno dei racconti più maturi, Punto Omega, Flannery scrive di un madre e un figlio che viaggiano su un autobus diretto in città. La donna si guarda intorno e, con quel fare di chi vuol cominciare una conversazione, nota ad alta voce che, per chissà quale meravigliosa congiunzione, il veicolo quel giorno è tutto per loro (loro, i bianchi). Il figlio è disgustato dalle ideologie della madre e, per provocarla, appena sale un uomo di colore, si alza dal suo posto per sedersi accanto a lui. La madre si volta a guardarlo, rossa di rabbia e vergogna. Un paio di fermate dopo, sale una grossa donna nera che tiene per mano un bambino — dal modo in cui si muove s'intuisce che è particolarmente nervosa — e va a sedersi tra l'uomo e il ragazzo. Il bambino lascia la madre e sceglie di occupare il sedile vuoto accanto alla donna bianca. Questo scambio (fisico e simbolico) mette a disagio le due donne. La madre del ragazzo, però, dopo qualche momento di sconcerto, sembra quasi trarre piacere dal disappunto della donna nera e inizia a giocare col bambino, sia per infastidire l'altra, sia per prendersi una rivincita sul ragazzo. Alla fermata successiva, le donne si avviano alla porta seguite dai rispettivi figli. La donna bianca rovista nella borsetta. Il giovane, che prevede l'intenzione di sua madre, le intima di non fare quello che ha in mente di fare. Ma lei non ascolta: chiama a sé il piccolo e, seguendo la sua idea di irreprensibile carità cristiana, gli regala una moneta. La nera agisce in modo inaspettato: colpisce la bianca, prende il bambino per mano e lo trascina via. La donna cade a terra, incapace di reagire, travolta da una sconvolgente rivelazione: non si era mai vista veramente, di conseguenza non aveva mai dubitato della bontà delle sue azioni, e la verità la assale con una potenza devastante.
Nei racconti di Flannery O'Connor il vero protagonista è il mistero, l'inspiegabile che si compie nelle diverse manifestazioni della grazia e nelle azioni che i protagonisti decidono di intraprendere o, meglio, nel modo in cui gli stessi scelgono di gestire la nuova consapevolezza in relazione al libero arbitrio. Tutte le storie terminano nel momento culminante dell'azione, lo svelamento, ma si concludono l'attimo prima che il protagonista decida come reagire. Ecco perché, sebbene la componente religiosa sia sempre presente nella narrativa della O'Connor, pressante in alcune occasioni, non sono racconti scritti con l'intento di convertire le credenze del lettore e non hanno la presunzione d'indicare la giusta condotta. Men che meno, lo scopo è quello di esaltare la figura del cristiano: i personaggi che appaiono moralmente impeccabili, assumono poi i ruoli più grotteschi perché hanno maggiori difficoltà a riconoscere l'azione divina dietro la tragedia.
Come può, una donna credente, avere una visione così pessimista? Come può una scrittrice, cristiana, essere così impietosa verso i suoi personaggi? Queste domande nascono dall'interpretazione miope di chi si affida al particolare per giudicare l'insieme: realismo e religione convivono perché la salvezza è nella verità, e prescinde da tutto, anche dalla vita. Non è salvo chi scampa alla morte, ma chi sfrutta il dono dell'illuminazione per redimersi in tempo. La salvezza è una presa di coscienza, una piena comprensione dell'esistenza, che si raggiunge quasi sempre in modo brutale. Lo shock serve al personaggio, e al lettore, per riconoscere l'intervento divino; la violenza con cui si manifesta è necessaria a squarciare il velo di perbenismo attraverso il quale si è soliti giudicare gli altri e se stessi. Ma se è vero che viviamo in «territorio largamente dominato dal diavolo», è l'oscurità, suo malgrado, a diventare scenario di luce: il bene si compie attraverso il male e agisce servendosi dei soggetti più predisposti ad accoglierlo, coloro che non hanno ancora, o non hanno più, certezze inespugnabili. I bambini, per esempio: ne Gli storpi entreranno per primi o nell'emblematico Il fiume; i bambini diventano vere e proprie vittime offerte in sacrificio per la salvezza degli adulti.
Non c'è una storia che non valga la pena leggere, anche i testi giovanili sono scintille che svelano qualcosa di più di quello che mostrano. E non riesco a citare un passo senza aver la sensazione di far torto agli altri perché ogni racconto è un piccolo mondo a sé; meccanismi pronti a scattare, concepiti con una precisione maniacale prossima alla perfezione. Kurt Vonnegut, dalla copertina, ci urla che «Flannery O'Connor è stata la più grande scrittrice di racconti della mia generazione». E di quelle a venire, dico io.
***
Tutti i racconti, Flannery O'Connor. Bompiani, 2014. Traduzioni di Marisa Caramella e Ida Omboni.
Una piccola nota personale a un lungo articolo anche troppo impersonale
C'è un racconto, si chiama: Il raccolto. Fa parte della prima tornata di storie. Io l'ho letto quasi un mese fa, sulla linea N della metropolitana che va dritta fino a Coney Island. Ecco, quel racconto lì è soltanto uno degli esperimenti di metanarrativa tra i più riusciti e meravigliosi che mi sia capitato di leggere in tutta una vita. Ora, sono io che non ho vissuto abbastanza?
In uno dei racconti più maturi, Punto Omega, Flannery scrive di un madre e un figlio che viaggiano su un autobus diretto in città. La donna si guarda intorno e, con quel fare di chi vuol cominciare una conversazione, nota ad alta voce che, per chissà quale meravigliosa congiunzione, il veicolo quel giorno è tutto per loro (loro, i bianchi). Il figlio è disgustato dalle ideologie della madre e, per provocarla, appena sale un uomo di colore, si alza dal suo posto per sedersi accanto a lui. La madre si volta a guardarlo, rossa di rabbia e vergogna. Un paio di fermate dopo, sale una grossa donna nera che tiene per mano un bambino — dal modo in cui si muove s'intuisce che è particolarmente nervosa — e va a sedersi tra l'uomo e il ragazzo. Il bambino lascia la madre e sceglie di occupare il sedile vuoto accanto alla donna bianca. Questo scambio (fisico e simbolico) mette a disagio le due donne. La madre del ragazzo, però, dopo qualche momento di sconcerto, sembra quasi trarre piacere dal disappunto della donna nera e inizia a giocare col bambino, sia per infastidire l'altra, sia per prendersi una rivincita sul ragazzo. Alla fermata successiva, le donne si avviano alla porta seguite dai rispettivi figli. La donna bianca rovista nella borsetta. Il giovane, che prevede l'intenzione di sua madre, le intima di non fare quello che ha in mente di fare. Ma lei non ascolta: chiama a sé il piccolo e, seguendo la sua idea di irreprensibile carità cristiana, gli regala una moneta. La nera agisce in modo inaspettato: colpisce la bianca, prende il bambino per mano e lo trascina via. La donna cade a terra, incapace di reagire, travolta da una sconvolgente rivelazione: non si era mai vista veramente, di conseguenza non aveva mai dubitato della bontà delle sue azioni, e la verità la assale con una potenza devastante.
«Siamo tutti dannati, ma alcuni di noi si sono strappati le bende dagli occhi e vedono che non c'è niente da vedere. È una specie di redenzione.»
Come può, una donna credente, avere una visione così pessimista? Come può una scrittrice, cristiana, essere così impietosa verso i suoi personaggi? Queste domande nascono dall'interpretazione miope di chi si affida al particolare per giudicare l'insieme: realismo e religione convivono perché la salvezza è nella verità, e prescinde da tutto, anche dalla vita. Non è salvo chi scampa alla morte, ma chi sfrutta il dono dell'illuminazione per redimersi in tempo. La salvezza è una presa di coscienza, una piena comprensione dell'esistenza, che si raggiunge quasi sempre in modo brutale. Lo shock serve al personaggio, e al lettore, per riconoscere l'intervento divino; la violenza con cui si manifesta è necessaria a squarciare il velo di perbenismo attraverso il quale si è soliti giudicare gli altri e se stessi. Ma se è vero che viviamo in «territorio largamente dominato dal diavolo», è l'oscurità, suo malgrado, a diventare scenario di luce: il bene si compie attraverso il male e agisce servendosi dei soggetti più predisposti ad accoglierlo, coloro che non hanno ancora, o non hanno più, certezze inespugnabili. I bambini, per esempio: ne Gli storpi entreranno per primi o nell'emblematico Il fiume; i bambini diventano vere e proprie vittime offerte in sacrificio per la salvezza degli adulti.
«Non ho nulla da rimproverarmi,» ricominciò. «Ho fatto di più per lui che per il mio bambino.» Udì la propria voce come quella di un accusatore. E ripeté la frase in silenzio. Lentamente il suo viso perse colore, diventò quasi grigio, sotto l'aureola bianca dei capelli. La frase gli riecheggiò nella mente: ogni sillaba come un colpo sordo. Sheppard contrasse la bocca e chiuse gli occhi, di fronte alla rivelazione.L'urgenza di raggiungere la redenzione per mezzo della verità fu un concetto che collegò l'esigenza narrativa della scrittrice alla drammaticità delle sue vicende personali. Flannery O'Connor visse gran parte della sua vita sotto la minaccia di una fine imminente: a venticinque anni le venne diagnosticato il lupus eritematoso, una malattia genetica ereditata dal padre, che la costrinse a seguire cure invalidanti e dolorose. Morì a trentanove anni, dopo aver scritto due romanzi – La saggezza del sangue (Wise Blood, 1952) Il cielo è dei violenti (The violent bear it away,1960) – e trentuno racconti. Questa edizione, curata da Bompiani, li comprende tutti. Tutti i racconti vuol dire quelli contenuti nella prima raccolta, A good man is hard to find, pubblicata nel 1955, le storie di Everything that rises must converge (1965) e altri dodici; sei di questi, sono i primi che scrisse e che riportò nella sua tesi di laurea del 1947.
Non c'è una storia che non valga la pena leggere, anche i testi giovanili sono scintille che svelano qualcosa di più di quello che mostrano. E non riesco a citare un passo senza aver la sensazione di far torto agli altri perché ogni racconto è un piccolo mondo a sé; meccanismi pronti a scattare, concepiti con una precisione maniacale prossima alla perfezione. Kurt Vonnegut, dalla copertina, ci urla che «Flannery O'Connor è stata la più grande scrittrice di racconti della mia generazione». E di quelle a venire, dico io.
Il sole era un'enorme palla scarlatta, pareva un'ostia all'elevazione, intrisa di sangue, e quando sprofondò e scomparve lasciò una riga nel cielo, come una strada di argilla rossa che incombeva sui campi.
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Tutti i racconti, Flannery O'Connor. Bompiani, 2014. Traduzioni di Marisa Caramella e Ida Omboni.
Una piccola nota personale a un lungo articolo anche troppo impersonale
C'è un racconto, si chiama: Il raccolto. Fa parte della prima tornata di storie. Io l'ho letto quasi un mese fa, sulla linea N della metropolitana che va dritta fino a Coney Island. Ecco, quel racconto lì è soltanto uno degli esperimenti di metanarrativa tra i più riusciti e meravigliosi che mi sia capitato di leggere in tutta una vita. Ora, sono io che non ho vissuto abbastanza?
Questa sera, quando arrivo a casa, mi tocca prendere in mano il volume e iniziarlo.
RispondiEliminaE fai bene! Su questo libro applico la formula "soddisfatti o rimborsati".
EliminaBrava Maria.
EliminaPaola C. S.
Che bella analisi che ne hai fatto, molto centrata e significativa! Ti ho letta con grande piacere. Per adesso diversi aspetti della O’Connor sono ancora in fase di elaborazione nella mia mente, ma quando hai parlato delle prese di consapevolezza che all’inizio procedono in sordina e poi si svelano con improvvisa brutalità solo nel momento clou dell’azione (quasi sempre quando è troppo tardi per reagire), non potevi descrivere meglio una delle caratteristiche più salienti della sua narrativa. Per tutto il resto tengo il giudizio in sospeso, perché devo prima finire di leggermela con calma. Per quanto riguarda “Il raccolto” condivido il tuo parere, è un esempio molto efficace di metanarrativa; ho invece appena concluso “Un brav’uomo è difficile da trovare”, e devo ancora riprendermi dal finale traumatizzante, che è addirittura peggiore di quelli tratteggiati da Cormac McCarthy nei suoi libri ;-) E’ comunque incredibile come questa scrittrice riesca a tenerti sulle spine fino all’ultima riga, di qualsiasi cosa parli. Meravigliosa.
RispondiEliminaGrazie! Non è semplice parlare di questa raccolta perché ogni racconto meriterebbe una trattazione a sé. Attendo con curiosità le tue impressioni :)
EliminaDannazione, riesci con le tue parole sempre al posto giusto a convincere anche un'allergica ai racconti come me!
RispondiEliminaA dire il vero, di questa autrice temo un po' questo aspetto, biografico e narrativo, della cristianità, ma il mio è un pregiudizio, lo ammetto.
Io non so se hai mai letto Faulkner o Anderson, ma questi racconti vivono un po' nelle loro ambientazioni. Per quel che riguarda la "cristianità" non devi aver timore perché è un elemento di tensione che non risulta asfissiante, anzi. Sai cosa potresti fare? Recupera qualche saggio: Flannery era una donna intelligente e molto ironica. Ti piacerà così tanto che ti convincerà lei stessa a leggere i suoi racconti!
EliminaOk, messaggio ricevuto.
RispondiEliminaL'ho cercato. L'ho trovato. È di carta. Io non sono un fanatico del digitale, ma lo devo confessare pubblicamente: non ho più posto, in casa. Pertanto pregasi la padrona di casa di recensire libri che si possano infilare in un e-reader :)
EliminaScarparo, lei mi coglie impreparata. In effetti sono andata a cercarlo anch'io e no, non esiste in versione digitale. Però, scusi se mi azzardo, ma tra tanti angoli che può avere una casa uno spazio per questi racconti esiste di certo!
EliminaLeggerti mi fa male. Mi toccherà procurarmi anche Flannery O'Connor e recepirne la lezione. Ho letto quel saggio/lezione in cui parlava a grandi linee dell'arte di scrivere racconti e mi ha ipnotizzato.
RispondiEliminaAndrea
Secondo me lei va letta tutta perché nei racconti mette in pratica 'effettivamente' (e questo non è così scontato) quello che - con estrema lucidità, e intelligenza, e ironia - scrive nei saggi. Leggerla è un piacere, in ogni caso.
EliminaBuongiorno Maria,
RispondiEliminaho appena letto "Il negro artificiale" e "Un brav'uomo è difficile da trovare". Li ho riletti più volte. Non so ancora dire se mi sono piaciuti ma so con certezza che sono scritti magistralmente. Alla fine di ogni racconto rimango con una stretta allo stomaco. Mi chiedo cosa sono per la O'Connor il Mistero e la Grazia, che ho sempre inteso come perdono ma che qui è qualcosa di diverso.
Nel "Il negro artificiale" mi sembra che non ci sia quel finire della storia l'attimo prima che il protagonista decida come reagire. La nonna viene uccisa e il Balordo ha compiuto l'ennesimo omicidio. Riuscirebbe ad aiutarmi a capire meglio?
Grazie,
Ilaria
Buongiorno Ilaria, le do la mia interpretazione: nel racconto "Un brav’uomo è difficile da trovare", il personaggio più emblematico è proprio la nonna con la presunzione di superiorità che la contraddistingue. Nell’ultima parte della storia, la nonna cerca di rabbonire il Balordo appellandosi alla sua integrità morale, l'integrità morale di un assassino, con una serie di discorsi superficiali e una marea di luoghi comuni («Lei non ucciderebbe una signora, vero?» oppure «Se pregasse, Gesù l’aiuterebbe»). È lei che viene punita: per Flannery O’Connor, ancor più colpevoli dei peccatori sono quelli che fingono di essere toccati dalla grazia; di comprenderla, in certo senso, e di poter addirittura spiegarla.
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