Quando la traduttrice Ludovica Tinghi invita Daniel Pennac a salire sul palco per accomodarsi su una delle tre sedie disposte per l’evento, si sente rispondere con un rifiuto: lo scrittore francese si volta di schiena, poggia le mani lungo il bordo del ripiano, si solleva facendo forza sulle braccia e si siede. Resta lì per l’intera serata, con le gambe che penzolano e tutta la faccia che ride. Parlare dal palco sarebbe stato troppo formale e Daniel ha bisogno del contatto con il pubblico. Ce ne rendiamo conto subito: gesticola, si alza spesso, è lui a passare il microfono, a inseguire le domande che si rincorrono. Siamo nella sala del cinema Modernissimo, a Napoli; Pennac è in città da qualche giorno. Sono tre anni che porta in giro il suo Journal du corps, l’arrangiamento teatrale del romanzo Storia di un corpo. Al momento si trova in Italia per presentare Una lezione d’ignoranza, un libro che raccoglie la lectio magistralis che ha tenuto all’Università di Bologna, nel 2013, in occasione del conferimento della laurea ad honorem in pedagogia.
«Perché ci hai tolto Malaussène?¹» la prima domanda che gli viene posta viene accolta e rafforzata dai consensi del pubblico. «Il est mort!», risponde, e inizia a inventare la storia della morte di Malaussène: di quel giorno sfortunato in cui un autobus, il 74, non si è fermato in tempo e ha travolto il povero Benjamin. E di tutta la famiglia, che dalla disperazione, si è unita in un suicidio di massa. Il pubblico ride soddisfatto. Ma all’ironia, Pennac alterna momenti di grande serietà. Per spiegare com’è nato il personaggio di Malaussène, Daniel parte dal pensiero di un grande filosofo francese, morto pochi giorni fa, il 4 novembre: René Girard. Una delle riflessioni principali di Girard si basava sul concetto di capro espiatorio, che Pennac spiega così:
Ogni volta che una collettività umana si riunisce, sceglie un portatore di tutti i difetti della comunità. Questo poi viene eliminato, sacrificato, e questo sacrificio salva lo spirito della collettività. [...] In Francia ci sono degli esempi, ce ne sono sempre stati, così come in Italia. [...] Si designava una vittima che saldava la comunità al governo dell’epoca. (Il capro espiatorio) ha una funzione che permette di federare nei periodi di crisi le persone che non sono soddisfatte di loro.
Leggendo gli studi di Girard, a Pennac venne in mene di creare un personaggio che fosse pagato perché gli altri potessero sfogarsi su di lui. Un capro espiatorio professionista. Scrisse a René Girard, che all’epoca insegnava a Palo Alto: «ho voglia di rendere pubblico il tuo concetto di capro espiatorio». Pennac si raccomandò di non considerare il romanzo come una presa in giro, ma come un omaggio. Girard accettò. Anzi, chiese a Pennac d’inviargli il libro appena fosse stato pronto. Se sfogliate Il paradiso degli orchi, il primo romanzo del ciclo Malaussène, troverete due citazioni di René Girard. «Éteindre les téléphones!», urla divertito Pennac. Ovviamente, il telefono che squilla è il suo.
Cosa possiamo fare, chiede una donna, per aiutare i ragazzi ad affrontare con più serenità il periodo scolastico? Io ho una sorella, prosegue, come posso aiutarla?
La prima cosa che puoi dirle è: smettila di avere paura. La paura è una malattia. La paura di passare per imbecille, di non saper rispondere. Questo paralizza e chiude le porte al sapere. Il ruolo del professore è quello di farla finita con questa paura. La prima cosa che dobbiamo fare è cercare di capire chi ha paura. [...] finché sono chiuse non si può far passare nessun sapere da quelle teste. La paura del cattivo alunno provoca la paura di essere idiota che provoca la vergogna di credere di essere idiota e questo può portare a delle conseguenze, tra cui la violenza fisica, sugli alunni buoni e qualche volta anche sugli insegnanti. È importante lottare contro questa paura dai primi giorni dell’anno scolastico. [...] Un’altra conseguenza è la paura degli adulti: i genitori che pensano che i figli non avranno futuro, gli insegnanti hanno paura di essere (o apparire) cattivi insegnanti. La paura è un male assoluto e tutti dovrebbero combatterla.
Il bisogno di sdrammatizzare si fa spazio attraverso i racconti delle sue esperienze personali:
Ero un pessimo, pessimo, alunno. Le madri fanno dell’avvenire una rappresentazione del presente aggravato e mia madre era molto preoccupata per me. Mia madre ha 92 anni. Un giorno fecero una trasmissione su di me, un film in cui mi facevano un sacco di complimenti: "Pennac, lo scrittore straordinario! Pennac, il lettore prodigioso!". Mio fratello mostra questo filmato a mia madre e mia madre guarda il film in un silenzio totale. Il film finisce, mia madre si volta verso mio fratello e dice, giuro: «Tu pensi che ce la farà un giorno?»
Daniel Pennac ha grande stima per gli autori italiani. A proposito di Stefano Benni, dice:
Ha introdotto i miei libri in Italia. [...] l’ironia e la complicità che installa tra lui e i suoi lettori è grazie a un tipo di humor che mi fa pensare a quello dei vignettisti. E in più ha una poesia burlesca, un po’ ereditata dal surrealismo. (Per quel che riguarda la funzione politica delle opere di Benni)... avete in Italia delle coscienze politiche che sono diverse, agiscono in modo diverso, ma poi vanno nella stessa direzione. L’altro è Erri De Luca.
Interrogato sulla recente assoluzione di Erri De Luca, Pennac aggiunge:
C’è un limite alla libertà d’espressione. Ma Erri De Luca è un esempio di capro espiatorio. (...) Si è difeso con gli argomenti degli ecologisti (...) e ha usato la parola "sabotare". Era una metafora, ma è stata interpretata come un incitamento all’assassinio. Quello di De Luca è stato un processo contro una metafora e il giudice, fortunatamente, se n’è reso conto.
Ha insegnato per trent’anni, Pennac, prima a Nizza e poi in un liceo parigino. Ragioniamo insieme sui vari aspetti della pedagogia e sui metodi d’insegnamento più efficaci. Parliamo dell’esercizio del dettato («Io avevo sempre zero. Pennacchioni: zero!») e si esalta sottolineando l’importanza della grammatica:
La grammatica racconta lo spostamento delle idee nel cervello (...) è il linguaggio, è la comunicazione. È la vita stessa. Non può essere noiosa!
Ci racconta di essere stato in collegio per sette anni e di essere stato bocciato due volte:
Ero disortografico, ma un bambino totalmente disortografico può essere un grandissimo lettore. Tutti pensano che basti leggere per scrivere bene ma non è così. Io leggevo molto ma all’epoca non era come oggi. Ci proibivano di leggere! Leggevamo di nascosto, la notte, con la torcia elettrica, i bidelli lo sapevano ma ci lasciavano fare. Capitava che mi addormentavo su un passo del romanzo I tre moschettieri. La mattina avevo voglia di continuare ma non potevo farlo perché sapevo che se mi avessero scoperto mi avrebbero requisito il libro e allora mi divertivo a inventare il seguito. Il duello, per esempio. Raccontavo il duello e la sera facevo il paragone con quello che aveva scritto Dumas. E indovinate? Quel che aveva scritto Dumas era leggermente, ma leggermente, meglio del mio.
Un’ultima domanda, scelta tra una decina di mani alzate, ha a che fare con la responsabilità dello scrittore e sul compito che ha diffondere la letteratura.
Io non penso al mio contributo alla letteratura quando scrivo. Scrivo libri, le persone li leggono e se li passano. Non è lo scrittore che diffonde la letteratura. Siete voi! Voi diffondete la letteratura, consigliando libri ai vostri amici, e lo fate a partire dal sentimento.
L’incontro è finito, sono le 21:00. Riccardo, il direttore della Laila, rinnova i ringraziamenti e dà un ultimo saluto allo scrittore. Il pubblico si alza e più di qualcuno si avvicina al palco. Ludovica si scusa ma dice che Pennac non può rilasciare autografi: è molto generoso e sanno che se lo lasciano firmare qualche libro, Daniel non se ne andrà finché tutti non saranno accontentati. Io mi avvicino all'uscita. «No, Daniel no, non puoi. Sono troppi!». Mi volto e lo vedo. Lui sorride, accoglie la copia de La fata carabina che gli porge un ragazzo e scrive il suo nome.
***
Il ciclo Malaussène, edito Feltrinelli.
Storia di un corpo. Feltrinelli, 2014.
Una lezione d’ignoranza. Astoria edizioni, 2015.
I libri di Daniel Pennac sono tradotti in italiano da Yasmina Melaouah.
L’ironia di questo scrittore ebbi modo di conoscerla già qualche tempo fa. Ricordate la prima volta che incontrai Daniel Pennac? Era il 20 dicembre di tre anni.
Pennac lo vidi per la prima volta quasi vent'anni fa, ad uno dei primi festival a Mantova. Mi è sempre sembrato uno molto bravo e la serie di Malaussène è da sempre una delle mie preferite (e lo sai :) ). Scoprire che c'è una base teorica, dietro, rende se possibile la mia ammirazione ancora più grande (e mi fa pensare assai...)
RispondiEliminaStavo per scrivere: lo so :) L'intervento su Girard è uno di quelli che m'è piaciuto di più. Malaussène gioca su un tipo d'ironia che fa fatica a conquistarmi, ma partecipare agli incontri di Pennac mi piace sempre. Anch'io, come te, l'ho rivalutato molto dopo aver ascoltato la "storia dietro la storia".
EliminaMolto interessante il ruolo dei genitori e delle madri in particolare. Sai che interruppi anni fa il ciclo dei Malausséne? Avrei quasi voglia di riprenderlo...
RispondiEliminaPotrebbe essere il momento giusto, no? Prova!
EliminaIn quarta superiore non avevo ancora cominciato a leggere molto, ma quando la professoressa di lettere ci propose una lista di titoli da leggere durante l'anno c'era anche il paradiso degli orchi. Lessi tutti i Malaussene e per un po' fu il mio autore preferito, finché la serie non si stancò di me. Mi sa che andrò nella mia libreria a vedere se ci sono ancora...
RispondiEliminaMi sembra un ottimo proposito.
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