Lince rossa e altre storie di Rebecca Lee

Leggere questi racconti mi ha fatto venire in mente la prima volta che sono andata in bicicletta. Per evitare di cadere cercavo di mettere in pratica gli insegnamenti dei grandi, tutti nello stesso momento: stai dritta, guarda avanti, reggi il manubrio, usa due mani, non frenare con i piedi. Non riuscivo a valutare il peso di ogni consiglio (frenare con i piedi si può, in alcune occasioni) e questa insicurezza non mi permetteva di sentire la strada. In realtà non facevo che imitare gli altri, i maestri, volendo però trovare la mia stabilità. Mi ci è voluto del tempo per capire che avrei dovuto affidare alla teoria solo una parte del mio modo di guidare. In Rebecca Lee ho ritrovato un po' di quella rigidità: la mano tesa sull'impugnatura e lo sguardo concentrato, puntato verso l'obiettivo. Ma se l'obiettivo di ogni scrittore è conquistare il lettore, il trucco è fare in modo che lui non se ne accorga (lui, il lettore), farlo sentire uno spettatore qualsiasi di un evento bellissimo. Per catturarmi, Rebecca Lee ha messo in atto ogni pratica da manuale. Ma quegli stessi modelli che hanno guidato la sua scrittura hanno stemperato la sua capacità comunicativa e aggiunto un po' di confusione allo sviluppo di alcune storie. Seguire le regole è necessario, ma poi diventa un problema se manca la spinta, il coraggio di lasciarsi andare.

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I primi quattro racconti di Lince Rossa e altre storie sono molto belli. Si avverte, in ognuno di essi, quel senso di malinconia un po' necessaria, di quel vivere a più strati che tanto ci tormenta. Le donne di queste storie sono in una condizione di sospensione emotiva. Non è incapacità di agire ma una difesa, più o meno ragionata, un modo di prendere la giusta distanza e analizzare i dettagli della vita che accade. In Da qui al sole, forse il mio racconto preferito, questa chiave di lettura diventa una vera e propria tecnica di sopravvivenza. Margit è una bambina che non riesce a motivare la sua infinita tristezza. I genitori, vittime ignare di un imminente divorzio, sono così preoccupati che decidono di chiedere aiuto a uno specialista. Lo psicologo, il Dottor Roland Boland Pine, è un tipo un po' eccentrico ma si rivela molto efficace. Fa accomodare Margit su una grossa poltrona di pelle nera e le dà un consiglio per affrontare nel modo giusto i problemi che sembrano senza soluzione:
Bisogna saper prendere le distanze da ogni situazione. Crescere è solo questione di acquisire prospettiva. A volte ti basta semplicemente saltar fuori per un momento, sollevarti di un metro da terra. O molto di su. È come se ci fossero delle zattere sospese nell'aria, degli appigli, da qui al sole, Margit, su cui possiamo poggiare i piedi. Capisci?
Tutte le donne di Rebecca Lee sembrano seguire il consiglio del Dottor Pine, come se si fossero sedute, in momenti differenti, sulla stessa poltrona di quello stesso studio. Donne molto diverse, per estrazione sociale, provenienza e carattere, eppure molto simili: tutte sospese, in attesa di qualcosa per cui valga la pena resistere. Certe volte un motivo c'è, certe volte se ne trova uno, certe volte sembra non arrivare mai. Il punto è, sempre, tornare a guardare giù con uno sguardo nuovo. Imparare a dare importanza a ciò che è importante, e sorprendersi di una nuova consapevolezza: non siamo noi a definire l'equilibrio dell'universo. E allora tutto diventa più sopportabile, anche il dolore: «accucciati, tieniti forte, ora soffrirai un po', ma non troppo».

Leggere Rebecca Lee è stato davvero piacevole: nelle curve percorse d'istinto, quando la teoria è stata messa un po' da parte, ho scoperto una scrittrice brillante. In alcuni passaggi eravamo perfettamente connesse. Avrei voluto soltanto, proprio in virtù delle capacità che le riconosco, che fosse meno accademica. Avrei preferito, anche, che fosse meno concentrata sulla forma e più sulla sostanza. Molto spesso quello che dovrebbe funzionare non è detto che funzioni veramente. E viceversa.



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Lince rossa e altre storie, Rebecca Lee. Edizioni Clichy, 2016. Traduzione di Sara Reggiani.

Commenti

  1. Come dice Paola, è una scrittrice da tener d’occhio. Da qui al sole è stato anche il mio racconto preferito, insieme alla Lince rossa. Ho provato a salire su una zattera e a guardare alcuni eventi dall’alto, ma non mi è riuscito benissimo. Però mi sto esercitando. Magari è come con la bicicletta: dopo un po’ s’impara.

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  2. Io vedo se riesco a buttar giù qualcosa nei prossimi giorni, ma grossomodo condivido il tuo parere Maria. Rebecca Lee ha una grande e bellissima scrittura, tecnica immensa, ma serve anche qualcos'altro che manca.
    Il mio racconto preferito, comunque, resta il secondo, che non ricordo mai come si chiama.

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