È il 1946, un piovoso pomeriggio di marzo. Un uomo è appena uscito dal Ritz, in gola ha ancora il sapore dell'ultimo Martini. Una classe di studenti, trenta tra uomini e donne, lo aspetta dall'altra parte di Manhattan. Il tema della lezione è l'editing dei libri, il professore Kenneth D. McCormick, caporedattore della Doubleday & Company, l'ha invitato a dire due parole sull'argomento. L'uomo abbassa la tesa del cappello sulla fronte e si stringe nel cappotto mentre cerca di raggiungere la Quarantatreesima senza bagnarsi troppo. Non è abituato a parlare in pubblico, e poi non sa bene cosa dire, ha sempre pensato che del suo mestiere non ci fosse molto di cui discutere. Quando entra nella sala tutti si voltano a guardarlo; modesto nell'abbigliamento, così discreto nei modi, quasi non sembra reggere il mito del "più grande editor d'America".
La prima cosa che dovete ricordare è che un editor non aggiunge niente a un libro. Nel migliore dei casi è l'ancella di un autore. Non vi venga mai in mente di sentirvi importanti per quello che fate, perché un editor al massimo rilascia energia. Un editor non crea niente.Maxwell "Max" Perkins cominciò a lavorare alla Charles Scribner's sons nel 1910 come direttore della pubblicità. A quel tempo, la casa editrice vantava un catalogo solido e rassicurante, fondato su qualche pilastro (Edith Wharton, Henry James) che assecondava le certezze dei lettori. In realtà, tutta la letteratura del periodo si adagiava su una visione che corrispondeva sempre meno ai nuovi sentimenti dei giovani americani. Le cose cambiarono quando in redazione giunse The romantic egoist, il manoscritto di un ragazzo di vent'anni. Era un'accozzaglia di racconti, poesie e bozzetti, una matassa di parole che però rivelava uno sguardo autentico, una «crudezza e intelligenza» fuori dal comune. Alla Scribner's nessuno ne intravide il potenziale, tranne Perkins, che credette in quella storia anche più del suo autore. Per Perkins niente era più importante di un libro e non si arrese: consigliò cosa correggere, quanto tagliare e come riscrivere. A lavoro ultimato, si ripresentò ai suoi colleghi con queste parole:
La mia sensazione è che un editore debba essere fedele prima di tutto al talento. E sarà una cosa gravissima non pubblicare un talento come questo.Il libro diventò Di qua dal paradiso e quel ragazzo diventò Francis Scott Fitzgerald.
Comincia così la biografia di Max Perkins, l'editor dei geni, scritta da Andrew Scott Berg. Berg arrivò a Perkins seguendo i passi di Fitzgerald, il suo scrittore preferito. Ripercorse la vicenda editoriale di Gatsby, il romanzo che lo ossessionava dall'adolescenza, e incontrò il nome di Perkins. Capì subito che l'editor fu una presenza fondamentale nella vita professionale e personale di Fitzgerald. Poi lo ritrovò nei libri di Hemingway, a lui lo scrittore dedicò la prima edizione del romanzo Il vecchio e il mare. Berg decise che la storia di Perkins, di quel mito d'America, sarebbe stata materia per la sua tesi di laurea, un testo che ha pubblicato nel 1978 vincendo il National Book Award.
Il film Genius, diretto da Michael Grandange al suo esordio alla regia, ripercorre i tratti salienti della biografia, incrocia Hemingway e Fitzgerald (interpretati da Dominic West e Guy Pearce), ma si sofferma sul rapporto tra Max Perkins (Colin Firth) e la sua più grande scommessa: Thomas Wolfe (Jude Law). Thomas aveva cominciato a lavorare al suo primo romanzo nel 1926 e un paio di anni dopo, per mezzo di Madeleine Boyd, la moglie del critico Ernest Boyd, Perkins leggeva quel manoscritto. Era un fascicolo enorme, il titolo era O Lost.
Il film Genius, diretto da Michael Grandange al suo esordio alla regia, ripercorre i tratti salienti della biografia, incrocia Hemingway e Fitzgerald (interpretati da Dominic West e Guy Pearce), ma si sofferma sul rapporto tra Max Perkins (Colin Firth) e la sua più grande scommessa: Thomas Wolfe (Jude Law). Thomas aveva cominciato a lavorare al suo primo romanzo nel 1926 e un paio di anni dopo, per mezzo di Madeleine Boyd, la moglie del critico Ernest Boyd, Perkins leggeva quel manoscritto. Era un fascicolo enorme, il titolo era O Lost.
Questo libro, nella mia stima è lungo tra le 250.000 e le 380.000 parole. Un libro di questa lunghezza di un autore sconosciuto è un tantino sperimentale, e mostra la sua ignoranza dei meccanismi dell’editoria. Il che è vero. Questo è il mio primo libro… ma credo che non sia corretto dare per scontato che se un libro è molto lungo sia un libro troppo lungo (…) Non ho chiamato questo libro romanzo. Per me è un libro uguale a quello che ogni uomo può avere in sé. È un libro fatto della mia vita.
La scrittura di Wolfe era entusiasmante: euforica, rabbiosa, diversa da tutte quelle su cui aveva lavorato. Ma Perkins si costrinse a una valutazione professionale e si rese conto che le infinite digressioni di Wolfe rischiavano di allontanare il lettore dal cuore della storia. Perkins spinse Wolfe a concentrarsi sul suo protagonista, Eugene, e insieme trasformarono quel libro nel romanzo Angelo, guarda il passato. Non fu facile lavorare insieme, per nessuno dei due: ogni taglio era per Tom una ferita aperta che sentiva il bisogno di ricucire con altre parole e così i capitoli aumentavano invece di diminuire. Dall'altra parte, Max si domandava se il suo intervento fosse un'intrusione lecita (arrivò a tagliare 90.000 parole). Si chiedeva se il prodotto del suo lavoro non fosse un libro migliore ma solo un libro diverso, se avesse il qualche modo manomesso il genio di Wolfe.
Il secondo romanzo, Il fiume e il tempo, fu il risultato di due anni di lavoro, anni nei quali Wolfe scriveva e Perkins tagliava. Il libro fu un successo, come la prima volta, ma lo scrittore non reagì bene: aveva la percezione che il pubblico lo considerasse l'ennesimo prodotto del celebre Max Perkins. La verità è che Wolfe era incontenibile, con un talento pari solo alla sua mancanza di autodisciplina. Viveva una storia tormentata con Aline Bernstein (Nicole Kidman), una donna sposata, molto più grande di lui. Ma scrivere era la sua più grande aspirazione. Ultimo di otto figli, fisicamente imponente, caratterialmente complesso, spinto soltanto da urgenze e impulsi, Tom attingeva solo da se stesso, dalla sua furia e dalla sua passione. Non c'era spazio per altro, nessun altro modo di concepire il mondo fuori dalla scrittura, e in questo processo l'approvazione di Perkins divenne fondamentale, più di quanto riuscisse ad ammettere. Dopo numerosi scontri, Wolfe lasciò la Scribner's per la casa editrice Harper.Prima che un autore distrugga le qualità naturali della sua scrittura: ecco il momento in cui un editor deve intervenire. Ma non un attimo prima.
Wolfe fu il figlio che Perkins desiderava da sempre (aveva cinque figlie femmine) e trovò in Perkins il padre forte che non aveva mai avuto: un sostegno nei suoi devastanti attacchi di sfiducia, un confidente nel suo amore estenuante per una donna sposata e più anziana, una fonte d'ispirazione letteraria. Finché la gratitudine non diventò bisogno di uccidere quella figura paterna. E fu il dramma.Una volta Wolfe scrisse, a proposito degli occhi di Perkins: «sono pieni di una strana luce nebulosa, con una specie di remoto tempo marittimo dentro, occhi di un marinaio del New England in partenza per lunghi mesi alla volta della Cina su un veliero oceanico, con dentro qualcosa di annegato, di disperso in mare». Io credo che Colin Firth abbia saputo interpretare quel tipo di sguardo, come di chi vive sospeso, in attesa che qualcuno riesca ad accendere la luce che ha dentro e che lo illumini, di conseguenza. La commistione tra l'aspetto distinto di Firth e l'atteggiamento eccentrico di Law ha prodotto un risultato interessante: i due hanno saputo ricreare la stessa intensità del rapporto tracciato da Berg nella biografia. Jude Law è un Wolfe eccezionale; più fisico di Firth, più audace, più drammatico.
Perkins faceva errori di spelling, sosteneva un uso personale della punteggiatura, svincolato da ogni regola formale, ed era molto lento a leggere, «lento come un bue». Ma la letteratura era questione di vita o di morte. Il 15 settembre del 1938, Thomas Wolfe muore a Baltimora per una grave forma di tubercolosi cerebrale. Dall'ospedale, contro ogni monito dei dottori, Wolfe raccoglie le ultime forze per scrivere una lettera al suo vecchio editore, il suo più grande amico, nonostante tutto.
La lettera è questa.
August 12, 1938
Dear Max:I’m sneaking this against orders—but “I’ve got a hunch”—and I wanted to write these words to you.
I’ve made a long voyage and been to a strange country, and I’ve seen the dark man very close; and I don’t think I was too much afraid of him, but so much of mortality still clings to me—I wanted most desperately to live and still do, and I thought about you all 1000 times, and wanted to see you all again, and there was the impossible anguish and regret of all the work I had not done, of all the work I had to do—and I know now I’m just a grain of dust, and I feel as if a great window has been opened on life I did not know about before—and if I come through this, I hope to God I am a better man, and in some strange way I can’t explain I know I am a deeper and a wiser one—If I get on my feet and get out of here, it will be months before I head back, but if I get on my feet, I’ll come back.
—Whatever happens—I had this “hunch” and wanted to write you and tell you, no matter what happens or has happened, I shall always think of you and feel about you the way it was that 4th of July 3 yrs. ago when you met me at the boat, and we went out on the café on the river and had a drink and later went on top of the tall building and all the strangeness and the glory and the power of life of the city was below—
Yours always,
Tom
***
Genius. Max Perkins, l'editor dei geni. Elliot edizioni, 2013. Traduzione di Monica Capuani.
La lettera di Thomas Wolfe è tratta da Editor to Author: The Letters of Maxwell E. Perkins.
Va bene, ora voglio fare tre cose: recuperare O Lost prima o poi, vedere questo film è leggere Max Perkins, l'editor dei geni.
RispondiEliminaThomas Wolfe l'ho dovuto leggere e rileggere perché la sua scrittura trabocca di così tante cose che neanche si riescono a cogliere in una volta.
L'effetto collaterale ;)
EliminaO Lost è stato pubblicato sempre da Elliot nella versione originale del romanzo, così come lo lesse Perkins. Sono curiosa anch'io, anche se - a differenza di quel che pensava - non credo che l'intervento di Perkins sia stato negativo. Sarebbe bello (avendo un paio di vite a disposizione) capire come e quanto cambia il romanzo da una versione all'altra.
Il film voglio assolutamente vederlo, per il mio amato editing, per Perkins, per Firth, per Law.
RispondiEliminaAnche il libro deve essere interessante, ma prima vediamo che me ne pare del film. Ti riferirò 😉
Il film mi è piaciuto. Firth mi piace sempre (soprattutto in ruoli più impegnati del principe di Bridget Jones) e mi piace anche Law (!), ma non sempre lo trovo efficace nei ruoli che interpreta. Questa volta, secondo me, è stato molto bravo. Ma io non sono un'esperta, aspetto il tuo parere :)
EliminaDevo assolutamente recuperare la biografia di Perkins :)
RispondiElimina