Per capire come cambierà il mondo dei libri, proviamo a entrare nel dettaglio del testo approvato.
La premessa, nell’articolo 1, è che: «La Repubblica [...] favorisce e sostiene la lettura quale mezzo per lo sviluppo della conoscenza, la diffusione della cultura, la promozione del progresso civile, sociale ed economico della Nazione, la formazione e il benessere dei cittadini».
L’articolo 2 elenca le finalità del Piano nazionale d’azione per la promozione della lettura, individuando alcune priorità, come: «favorire l’aumento del numero dei lettori» e «promuovere la frequentazione delle biblioteche e delle librerie». Interessante il punto e, che sottolinea la necessità di «valorizzare la diversità della produzione editoriale, nel rispetto delle logiche di mercato e della concorrenza». Indispensabile, poi, l’obiettivo riportato alla lettera h, che prevede la necessità di «interventi mirati per specifiche fasce di lettori e per i territori con più alto tasso di povertà educativa e culturale».
L’articolo 3 chiama all’appello i comuni e le regioni, affinché aderiscano al piano attraverso iniziative tese a coinvolgere biblioteche e altri soggetti pubblici «nell’esercizio della propria autonomia, compatibilmente con l’equilibrio dei rispettivi bilanci», mentre l’articolo 4 introduce l’elezione annuale di una Capitale italiana del libro: «Il titolo è conferito all’esito di un’apposita selezione [...]. La selezione avviene sulla base dei progetti presentati dalle città [...]. I progetti della città assegnataria del titolo sono finanziati entro il limite di spesa di 500.000 euro annui a decorrere dall’anno 2020».
L’articolo 5 si focalizza sulla promozione della lettura tra i banchi di scuola. Gli uffici scolastici regionali individueranno, attraverso appositi bandi, una “scuola-polo” che sarà responsabile dell’intero servizio bibliotecario scolastico. Ogni scuola-polo dovrà «promuovere la collaborazione tra le istituzioni scolastiche della rete e quelle del territorio». Soprattutto, si occuperà di organizzare la formazione per il personale delle biblioteche scolastiche, a supporto della quale è autorizzata la spesa annuale di 1.000.000 di euro.
Per sopperire alle difficoltà economiche individuali, l’articolo 6 istituisce la Carta della cultura: «una carta elettronica di importo nominale pari a euro 100, utilizzabile dal titolare, entro un anno dal suo rilascio, nei pagamenti per l’acquisto di libri, anche digitali, muniti di codice ISBN». Con un prezzo medio di copertina di 20,04 euro (Istat, 2018), vuol dire 5 libri all’anno. Si poteva fare di meglio. Comunque, i requisiti per l’assegnazione della carta sono ancora in fase di definizione.
L’articolo 7 semplifica la disciplina per le donazioni librarie, escludendo l’applicazione dell’IVA dalle cessioni gratuite di titoli fuori commercio.
LA NUOVA LEGGE E GLI SCONTI SUI LIBRI
Ecco il pomo della discordia: il famigerato articolo 8, la disposizione che modifica la legge del 27 luglio 2011, n. 128 – conosciuta come la legge Levi – in materia di sconti sul prezzo di vendita dei libri.Facciamo un passo indietro: com’era prima? Prima non c’erano norme che regolavano la percentuale di sconto sul prezzo dei libri, perciò la grande distribuzione, in virtù del maggior numero di ordini, poteva applicare tassi di sconto più alti, trasformando il risparmio ottenuto dagli editori in margine effettivo. Per disciplinare le strategie di sconto, la legge Levi interviene a stabilire un tetto massimo del 15%.
Oggi, con il nuovo disegno: «La vendita di libri ai consumatori finali, da chiunque e con qualsiasi modalità effettuata, è consentita con uno sconto fino al 5% del prezzo. Il limite massimo di sconto di cui al primo periodo è elevato al 15% per i libri adottati dalle istituzioni scolastiche come libri di testo». Inoltre: «I limiti massimi di sconto [...] si applicano anche alle vendite di libri effettuate per corrispondenza o tramite piattaforme digitali nella rete internet.»
L’articolo 8 rappresenta una delle principali vittorie dell’Adei, l’associazione degli editori indipendenti. Dal comunicato che si legge sul sito, la regolazione degli sconti porterà un maggiore equilibrio nel mercato dei libri, con la speranza che questo provvedimento garantisca «la possibilità del pluralismo editoriale e quindi culturale».
Per farla semplice: a parità di prezzo, il lettore avrà un motivo in meno per rivolgersi alla grande distribuzione. Sceglierà di comprare un libro in una libreria, magari indipendente. Oppure direttamente dal sito dell’editore. Questa inversione di tendenza dovrebbe portare, nel lungo periodo, a una ridistribuzione dei guadagni lungo tutta la filiera produttiva. In ogni caso non abbiamo inventato nulla: in Francia, il limite del 5% di sconto esiste dal 2014 (per effetto della legge Loi Lang del 1981).
Secondo l’Associazione italiana editori, invece, a rimetterci saranno i lettori. Riccardo Levi, presidente dell’Aie, chiarisce che «[...] imponendo la riduzione degli sconti sui prezzi di vendita, questa legge peserà sulle tasche delle famiglie e dei consumatori per 75.000.000 euro, mettendo a rischio 2.000 posti di lavoro. Non è ciò che serve in un’Italia in coda alle classifiche europee per la lettura». A titolo informativo: tra i soci dell’Aie ci sono Mondadori, Feltrinelli, Mauri Spagnol e altri grandi editori, che insieme fanno il 90% del mercato librario italiano.
Al comma 3, l’articolo 8 precisa che, per un solo mese all’anno – che non sia dicembre –, le case editrici possono «offrire sul prezzo di vendita dei propri libri uno sconto maggiore del 5, ma comunque non superiore al 20%». Da questa eccezione, restano esclusi i titoli pubblicati nei sei mesi precedenti a quello in cui si svolge la promozione.
UNA SOLUZIONE POSSIBILE: LA DETRAZIONE FISCALE
È facile intuire le ragioni delle associazioni di categoria, ma il problema non ha una soluzione semplice. La verità è che un lettore “forte” comprerà il libro che ha scelto, euro più, euro meno. Un non lettore lo eviterà a prescindere, euro più, euro meno. A ciò si aggiunge che il prezzo non è l’unica variabile che influenza le scelte d’acquisto: la forza della grande distribuzione, infatti, è legata alla gamma di servizi offerti; all’ampiezza e alla profondità del catalogo, e alle consegne – efficienti, veloci, quasi sempre gratuite. Già nel 2015, Cristina Giussani, presidentessa del Sindacato dei librai, diceva che, per reggere la concorrenza, i librai dovrebbero essere in grado di reperire i libri richiesti in tempi stretti e dovrebbero fornire al lettore una serie di servizi aggiuntivi, come le consulenze. Giussani definisce il 5 febbraio, data d’approvazione del nuovo disegno di legge sulla lettura, una giornata storica: «Con l’approvazione definitiva del DDL Lettura, finalmente la nostra filiera italiana del libro viene dotata di un impianto normativo che ci allinea ai migliori standard europei».
La detrazione è una proposta già contenuta nel DL 145/2013: è un’agevolazione fiscale che consiste nella detrazione del 19% su un massimo di una spese complessiva di 2.000 euro (esempio: per una spesa di 1.000 euro si possono “scaricare” dalla dichiarazione dei redditi fino a 190 euro). Mica male, vero? Peccato che la proposta non sia mai stata approvata.
LIBRERIE DI QUALITÀ
Se l’articolo 9 introduce l’Albo delle librerie di qualità, al fine di «promuovere un ampio pluralismo culturale ed economico nonché di accrescere la qualità della lettura», l’articolo 10 aumenta di 3.025.000 il limite di spesa relativo al credito d’imposta di cui possono usufruire gli esercenti di attività commerciali che operano nel settore della vendita al dettaglio di libri. Gli amici librai, insomma. L’articolo riprende il comma 319 della legge 27 dicembre 2017 che prevedeva «un credito d’imposta parametrato agli importi pagati a titolo di IMU, TASI e TARI [...] nonché alle eventuali spese di locazione o ad altre spese individuate dal decreto». Il risparmio d’imposta è stabilito nella misura massima di 20.000 euro per le librerie non gestite direttamente da gruppi editoriali, 10.000 euro per gli altri esercenti.
Il decreto risponde che per l’attuazione del piano è istituito un apposito fondo, gestito dal Centro per il libro e la lettura, con una dotazione di 4.350.000 euro annui. Per compensazione, dal 2020 è abrogato il fondo per la lettura istituito dalla Legge di bilancio 2018 – pari a 4.000.000 di euro – quindi fondo annulla fondo. Il resto si recupera dai Fondi di riserva e speciali e dai Fondi da ripartire previsti dal Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2019.
A dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge, un paio di ministeri e due responsabili di settore si uniranno per riflettere sugli effetti dell’applicazione delle nuove previsioni.
IL CONTO, PER FAVORE
Gli oneri derivanti dalla nuova legge sono pari a 10.250.000 euro l’anno. Per deformazione professionale, la prima domanda che mi viene in mente è: dove li prendiamo tutti questi soldi?Il decreto risponde che per l’attuazione del piano è istituito un apposito fondo, gestito dal Centro per il libro e la lettura, con una dotazione di 4.350.000 euro annui. Per compensazione, dal 2020 è abrogato il fondo per la lettura istituito dalla Legge di bilancio 2018 – pari a 4.000.000 di euro – quindi fondo annulla fondo. Il resto si recupera dai Fondi di riserva e speciali e dai Fondi da ripartire previsti dal Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2019.
A dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge, un paio di ministeri e due responsabili di settore si uniranno per riflettere sugli effetti dell’applicazione delle nuove previsioni.
Con 75.758 titoli pubblicati nel 2018, a fronte di una bassa percentuale di lettori (40,6%, stabile dal 2016, è importante agire su più fronti. Se è vero che tassi più elevati di lettura, producono tassi di crescita della produttività importanti, è necessario supportare i lettori già acquisiti, sostenendoli con incentivi e agevolazioni, e conquistare nuovi lettori, attraverso iniziative concrete di coinvolgimento e inclusione; interventi di diversa natura, attuati, magari, attraverso sinergie virtuose tra Stato, Regione e degli altri enti territoriali. Utopia? Non è detto.
Mentre attendiamo i risultati, in attesa di capire se la detrazione fiscale verrà mai applicata, non posso fare a meno di pensare a un’affermazione di André Schiffrin che, in un libro di qualche anno fa dal titolo Il denaro e le parole, scriveva: «In ambito culturale le decisioni non sono economiche, ma innanzitutto politiche, cosa che può aprire la strada a temibili alternative». È questo il vero problema.
Fonti: Sintesi disegno di legge sul libro e la lettura, Testo integrale e Report produzione lettura libri 2018.
Fonti: Sintesi disegno di legge sul libro e la lettura, Testo integrale e Report produzione lettura libri 2018.
Io sono molto scettica su tutto l’impianto della legge. Ho come il sospetto che alla fine si ridurrà sull’applicazione dell’art.8 (il più semplice da mettere in atto). Poi, magari, verrò smentita dai fatti e verranno emanati a raffica decreti attuativi che istituiranno l’Albo delle librerie di qualità e si scoveranno fondi per mirabolanti progetti (e non pubblicità progresso) per la promozione della lettura. Vedremo.
RispondiEliminaIo continuo a pensare che il problema non sia il famigerato 15% di sconto o il costo dei libri (se il problema fosse solo questo, le biblioteche dovrebbero essere piene di gente e non semplici sale studio per studenti di tutte le età). E penso che se avessero voluto sostenere economicamente i lettori, la detrazione fiscale sarebbe stata la scelta più ovvia e più fattibile (forse non per le casse dello Stato ma tutto dipende da quale Paese vogliamo diventare e quali categorie vogliamo sostenere).
Vedremo cosa accadrà.
La parte numerica della questione è quella che mi mette più in confusione: non avendo la consapevolezza di come funzionino i bilanci editoriali e delle librerie, sull'aspetto della convenienza economica alzo le mani. Non saprei, quindi, pronunciarmi sulla bontà o meno dell'articolo 8, però concordo con te sul fatto che pochi euro o pochi centesimi non siano determinanti sull'acquisto del libro: a tutti noi fa piacere risparmiare, ma, come dici, un lettore forte non si fa dissuadere dalla riduzione della percentuale di sconto e uno cui leggere non interessa minimamente non lo farebbe nemmeno se i libri piovessero dal cielo (del resto la possibilità di leggere gratuitamente c'è già e richiama biblioteca). Ma il nodo è, appunto, che le misure finanziarie possono ben poco in confronto a quelle strutturali: se si legge poco, la colpa non è del costo dei libri, ma dello scarso valore che si dà a questa attività, e non bastano nemmeno iniziative scolastiche, manifestazioni locali o detrazioni fiscali: c'è bisogno di una profonda e pervasiva campagna culturale. E, per quanto riguarda i testi scolastici, ci vorrebbe una buona legge che mettesse fine ai vergognosi giochetti che fanno aumentare sempre di più i costi dei volumi con espedienti tipo la nuova impaginazione, il contenuto digitale (che poi non sarà accessibile, aggiornato o funzionante) o la separazione dei tomi e senza possibilità di detrazione - quella sì necessaria, anzi, da rendere totale nel rispetto del diritto allo studio.
RispondiEliminaQuesta legge è stata voluta anche da quelle case editrici o librerie indipendenti che volevano mettere un freno ad Amazon, credendo in futuro di vivere felici e contenti... Ma nessuna legge può salvare un paese il cui livello di cultura si sta notevolmente abbassando, ci vorrebbe, come dice Cristina sopra, un più impiego di risorse, campagne. Poi se pensiamo ad ministro che si è dimesso perché non è stata data la giusta centralità e il giusto sostegno all'istruzione allora sarà difficile cavarne qualcosa.
RispondiEliminaGli interventi più significativi sono concentrati “sul libro” più che sulla lettura, almeno questa è la mia impressione. È vero che uno sconto sistematico del 15% può impattare sui guadagni di case editrici più modeste e, a cascata, su stipendi e compensi di tutta la catena, ma non so quanto il ricavo del 10% possa fare la differenza in un periodo di crisi che si poggia su più variabili.
RispondiEliminaAl di là dei numeri, come dite anche voi: il problema non è lo sconto, non è neanche Amazon (pensare di competere con Amazon è assurdo. L’idea vincente è creare un’esperienza d’acquisto alternativa, e qui mi riferisco alle librerie). Il problema è la mancanza di lettori, e i lettori mancano perché non c’è reale interesse a stimolare la categoria. Non sono un paio di iniziative e due o tre campagne promozionali che cambieranno la situazione. La formazione deve partire dalla scuola, secondo me, in un progetto di inclusione trasversale che intenda avvicinarsi agli interessi dei più giovani (giovani che rappresentano la fetta più grossa di quel 40%). Non è imponendo dall’alto idee come “leggere ti fa più bello” che risolleveremo quei numeri. L’errore è lanciare iniziative da lettori per lettori, in un meccanismo autocelebrativo della serie “ce la cantiamo e ce la suoniamo”.
Partire dalla scuola è importante, ma la scuola può fare ben poco (o nulla) se lo stimolo culturale non è sostenuto dalle famiglie e dalle altre strutture culturali sul territorio (biblioteche, circoli, musei...) e sempre meno famiglie hanno fiducia negli insegnanti e accettano di partecipare attivamente nel rapporto fra educatori. Purtroppo è dimostrato che ha più possibilità di diventare un lettore chi cresce fra i lettori e si abitua fin da piccolo al contatto con i libri e finché non verrà socialmente rilanciato il valore delle esperienze culturali (scardinando lo stereotipo del lettore nerd fuori dal mondo), non si produrranno cambiamenti sostanziali. È brutto dirlo e certamente io non condivido questo messaggio, ma per molti ciò che non fa tendenza non vale l'impegno, anzi, non vale proprio niente.
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